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Intervista a Luisa Piazza

Da ormai quasi due anni il Corona Virus sta condizionando le nostre vite. Il settore più in sofferenza è sicuramente il settore turistico, che attraverso le limitazioni alla libertà di movimento delle persone e la sospensione di molte attività economiche ha avuto come conseguenza l’indebolimento e l’impoverimento dei territori. Cosa può dirmi sulle iniziative intraprese per affrontare la crisi pandemica e sui cambiamenti che sono stati ottenuti?

“Ci sono molti cambiamenti che bisogna fare nel momento in cui si deve gestire una situazione di crisi come quella che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo. Innanzitutto, bisogna distinguere le varie fasi della crisi. C’è stato il lockdown, quindi la fase acuta della crisi, in cui chiaramente non si poteva invitare nessuno a visitare il paese. L’unica call to action da poter adottare in un momento del genere è cambiare stile, tono e modalità facendo una comunicazione di tipo istituzionale proponendo il proprio territorio, facendo in modo che non venga dimenticato e che mantenga la propria visibilità nella mente dei potenziali viaggiatori. Noi avevamo fatto le cosiddette Piemonte Stories e visitando il sito di VisitPiemonte le potete trovare: sono una ventina di piccole storie in cui si racconta delle colline, delle tradizioni, delle curiosità, etc.

In questa fase l’attenzione della comunicazione si sposta dal turista viaggiatore finale verso gli operatori locali di tutta la filiera del turismo, che sono stati duramente colpiti dalla crisi.

Nella fase in cui si è potuto ripartire, quindi il déconfinement, chiaramente l’invito alla call to action è stata “vieni a visitarci”. Questo perché quello che era in passato un po' il punto debole del nostro territorio, ovvero il fatto essere una meta un po' fuori dagli itinerari più conosciuti, è diventato un punto di forza. Questo senso del distanziamento, il fatto di non voler essere tutti affollati, di voler fare attività all’aria aperta sono tutti elementi che caratterizzano il Piemonte: infatti, la regione si contraddistingue per la varietà dei paesaggi, la varietà di attività outdoor che si possono fare, la spiritualità con i cammini storico-culturali, la presenza di un’ottima enogastronomia anche se con qualche vincolo in più… Tutte queste componenti le abbiamo poi utilizzate per invitare i viaggiatori a venire a scoprire o riscoprire il nostro territorio, tanto che le campagne di advertising del 2020 e del 2021 sono state incentrate sui quattro pilastri di comunicazione: quattro elementi forti, chiari e su cui abbiamo costruito l’identità del territorio (Arte e cultura UNESCO, la bellezza e la libertà attraverso attività outdoor e la varietà dei paesaggi, l’enogastronomia e la spiritualità).

In termini di comunicazione questo è stato l’elemento centrale. In termini manageriali abbiamo dovuto necessariamente modificare le modalità di pianificazione della nostra attività. Se prima si ragionava 6 mesi o 1 anno in anticipo rispetto agli eventi, chiaramente in questa situazione tutti gli eventi sono state chiusi e hanno potuto riaprire il 3 luglio, quindi cancellati totalmente.

Organizzare delle manifestazioni, delle cene o delle inaugurazioni è diventato molto più complicato e si è ridotto tutto in termini di timing (pianificazione più stretta), si è utilizzato di più il digitale e quindi qualunque nostra conferenza stampa da dopo il lockdown è stata duplice: in presenza era ristretta a inviti con conferme scritte per pochissimi, poi però era in contemporanea in trasmissione streaming. C’è stata una valorizzazione del mercato italiano che prima era un po' meno curato, perché l’obiettivo era di farsi conoscere soprattutto a livello internazionale. L’internazionale con tutte le varie restrizioni e limiti di viaggi e spostamenti si è dovuto rivedere: maggiore attenzione sui paesi limitrofi (Germania, Francia, Svizzera), mentre per esempio Nord America e Cina che erano due mercati molto importanti per noi li abbiamo dovuti lasciare indietro, perché non aveva senso con i limiti che vigevano.”

Dopo la crisi che ha portato la pandemia il settore turistico ha avuto bisogno di essere ripensato, ci sono stati dei cambiamenti per poter andare avanti. Ma parlando di futuro, negli anni che verranno, pensa che il settore turistico potrà tornare a essere quello di prima dello scoppio della pandemia?

"Allora se parla in termini quantitativi, cioè se ritorneremmo ad avere quel numero di viaggiatori in giro per il mondo, probabilmente sì ma ci vorranno anni. Le previsioni erano intorno al 2024/2025. Secondo me, ci vorranno almeno altri tre o quattro anni per ritornare ai livelli prima della crisi. 

Invece parlando in termini qualitativi, cioè come si farà vacanza, assolutamente no, non si torna indietro. C’è salto proprio un salto epocale ma già l’avevamo registrato da subito perché le vacanze si sono accorciate, frammentate e c’è stata anche una riscoperta della dimensione più locale. Di contro c’è stata anche la dimensione del working holiday, ovvero lunghi soggiorni dove si sta in un luogo bello che non è il proprio normale di residenza e si lavora quindi da remoto. Lo smart working permette maggiore flessibilità e quindi se si trova un posto ben connesso e con un giusto trade off a quel punto si può lavorare ovunque, su un’isola, in montagna… 

Tanto che noi avevamo lanciato questa estate un progetto, prima facendo un’indagine di interesse presso i mercati scandinavi e poi proprio come campagna di advertising mirata per invitare professionisti, giovani e persone digitalmente munite a venire a lavorare da noi. "

Cosa si potrebbe fare ancora? Si stanno organizzando nuove strategie per il futuro per evitare che possa ricapitare qualcosa del genere?

"Non credo che si possano organizzare delle strategie. Tu puoi gestire la crisi ma non puoi evitare che la crisi esploda. Cioè questi episodi così dirompenti nessuno è in grado di prevederli, si possono soltanto cercare di gestire al meglio. C’è stata molta attenzione all’informazione, molta informazione alle misure di sicurezza. L’intera filiera si è rimessa in movimento per cercare di riprendersi. Pensiamo soltanto a cosa abbiamo voluto dire, e lo so dall’interno dato che parlavo con gli albergatori, cambiare il modo di servire le colazioni. È stato un delirio. Prima i buffet erano liberi e confezionati in monoporzioni, ora c’è un cameriere che ti serve. Questo significa cambiare proprio l’organizzazione. Quindi, io dubito che si possa adottare una strategia preventiva." 

Quali sono stati i problemi più grandi che lei e tutti coloro che hanno lavorato nel turismo in questi ultimi due anni avete dovuto affrontare?

“Ce ne sono state tante. Sicuramente non eravamo attrezzati per fare questo salto dal reale al virtuale. È stato molto difficile. Quindi questo fatto ci ha imposto di fare un salto in avanti; quindi, vista oggi dico che è stata un’opportunità. Ma quando eravamo nel bel mezzo, in cui bisognava spiegare, in cui la gente non si connetteva oppure non spegneva il microfono… quella difficoltà ha portato proprio ad un appesantimento. L’altra difficoltà vera, che per me è stata veramente difficile da gestire è stata la distanza. Il virtuale non sostituirà mai per me il reale. Ma nelle stesse lezioni: le lezioni fatte a distanza non hanno la stessa interattività e lo stesso coinvolgimento che si ha se si è in presenza. Pensi gestire 26 persone a distanza cosa vuol dire: un delirio. Quindi la distanza ha facilitato il mettersi in contatto con persone distanza chilometricamente, ma non ha facilitato il lavoro di gruppo. A fine giornata arrivavo esaurita ed esasperata perché era difficilissimo tutto. 

Un’altra cosa difficilissima è che il turismo è fatto di emozioni, di esperienze e di fisicità. Riuscire a tenere destra l’attenzione e a continuare a promuovere quando hai tante limitazioni è complicato. 

Soprattutto molto complicata è la promozione in digitale dell’enogastronomia, è abbastanza un ossimoro. La fatica è tripla.”

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